Recensione alla silloge poetica ORFANI di GIANLUCA CECCATO



Ringrazio la casa editrice per la copia digitale dell'opera.


RECENSIONE:

La raccolta poetica di Gianluca Ceccato è divisa in sei parti complessive, tutte ben distinguibili tra loro e al contempo legate da un filone talvolta dal gusto criptico e machiavellico o addirittura sacro, quasi le poesie fossero delle preghiere vere e proprie. 

Vi sono carnalità e sanguinose crudezze dell'animo, brividi che, irrorando dalle parti dei cuori di quegli Orfani omonimi al titolo della silloge, contraddistinguono l'opera.

I versi sono complessi e stilisticamente parlando perfettamente calcolati affinché risultino ermetici laddove si lascia spazio ad un'immaginazione talvolta morale ma anche "fisica" e molto più corposi a tal punto da raggiungere il modello prosaico, in un ciclo continuo di estasi spasmodica che santifica l'opera in qualche modo, relegandola ad altissimi livelli. E vi è anche il monito della morte, quella disperazione di sciupata e deserta costrizione nel  rimanere in un angolo chiuso, (le poesie sembrano essere pregne di claustrofobia) di non avvalersi della facoltà di parola.

Poesie straordinariamente silenziose ma che fanno parlare di sé. 

Vi è un ciclo di rinascita, e si ricomincia con la scrittura,  con il ripetersi senza noia né condono. Vi è anche il manifesto e la plateale tragedia del ribadire più volte, come quasi in un moto incline all'anafora prosaica, del non - biasimo della venuta al mondo, della propria nascita senza colpa alcuna.

Il confine bianco di neve che ritorna più e più volte, come volendo memorizzare nella mente del lettore una concessione e una confessione semplice, ovvero il mondo che forse è fin troppo cieco... 

E quei punti esclamativi dopo la parola Mondo! (Ripetuta per tre volte, in versi), quasi sottolineando il malessere di ciò di cui gli altri non vogliono prendersi cura, come una stigmate che si intravede dalle mani, da quella pelle che è trafitta.

Richiami indubbiamente religiosi ma al contempo trasversali, come una corda che è appesa e oscilla lentamente. 

E quelle stigmate, quei buchi d'altri tempi, non devono spaventare, non devono indurre a temere il futuro,  forse perché proprio chi è Orfano sa bene che è il passato il fantasma di cui aver paura e non il mondo che verrà. 

Padre è padre, non importa dove.
Madre è madre, non importa come.

Così ci dice il poeta, che assomiglia così tanto all'uomo comune della porta accanto, ma solo con un pizzico di conoscenza in più. 



"Orfani di una vita mancata, di un qualcosa scomparso nel tempo." 


Così l'autore chiude la silloge, come a voler spiegare in modo sensazionale e in poche righe, una solitudine che cattura l'anima e un tempo che ha ormai risucchiato il tutto, da cui sembra derivare spesso il dolore di un niente.


VOTO DELLA SILLOGE IN STELLINE: 

☆☆☆☆☆

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